Guccini, dagli Lp ai rapper
Lo 051 è il prefisso inequivocabile di Bologna. Quella Bologna raccontata in tante sue canzoni. Non ci resta che digitare il resto del numero.
Pronto, parlo con il collega Francesco Guccini?
«Anche tu cantautore?»
Beh non proprio. Ma scusi Guccini ma lei non ha lavorato nella Gazzetta di Modena negli anni Sessanta?
«Sì, é vero. Agli albori della carriera ho fatto anche questo.La carta stampata ha caratterizzato ben due anni della mia esistenza ».
E di cosa si occupava?
«Un po’ di tutto,ma soprattutto di cronaca. Qualche volta ho scritto anche per la terza pagina, quella della Cultura ma ho fatto anche delle inchieste con grandi soddisfazioni».
Cultura? E allora parliamo di musica, dei suoi concerti e del suo ritorno venerdì al PalaRossini di Ancona.
«Non lo dico per piaggeria, ma ritorno ad Ancona molto volentieri. L’ultima volta ho trovato gente calorosa. Ma soprattutto ricordo che c’erano tanti giovani, spero che vengano in tanti. Sì, nelle Marche davvero un bel pubblico ».
I giovani, ma come si spiega che ai suoi concerti vengano tanti ragazzi?
«Credo ci sia un po’ un ritorno alla buona musica e son convinto che i giovani non siano proprio come noi adulti li descriviamo».
Cioè?
«Tra loro c’è un gran fermento. Sono attenti alla realtà, a quello che succede nel mondo. Vogliono capire, cercano di impegnarsi. Insomma non ci sono solo veline” e “tronisti”. »
La musica di adesso le piace?
«A quale musica si riferisce? A dire il vero non sono un appassionato. Non ascolto molto di quello che ora c’è in giro. Sono rimasto ai tempi degli Ellepì. Mi sembrano interessanti i rapper, credo sia un fenomeno da non sottovalutare».
Ce la spiega la differenza tra lei e De Andrè?
«E’ molto semplice: lui è nato quattro mesi prima di me, per il resto grandi differenze (a parte che non potrò mai competere con una voce come quella del compianto Fabrizio) non ce ne sono. Scherzi a parte, io e Faber nasciamo da due esperienze diverse. Poi lui si è diretto verso la musica del “cantautorato” francese mentre io ho preferito la strada americana, quella tra la via Emilia e il West».
Ai tempi di “Radici” (1972 ndr), l’album che lo ha consacrato al grande pubblico, le sue canzoni le cantavano tutti, anche i cattolici e i democristiani.
«A dire il vero ho scoperto che tra i miei fan c’erano anche quelli di Destra. Mi son dato una spiegazione: non distribuivo messaggi, guardavo la realtà di allora e descrivevo soltanto quello che mi accadeva intorno ».
Dopo la musica sembra di capire che sia rimasto folgorato dalla Letteratura.
«Diciamo che mi piace scrivere. Scrivere per la musica o per un libro cambia poco. Già penso ad un nuovo giallo ambientato sui Monti dell’Appennino Tosco-Emiliano, ma questa un’altra storia».
Ma insomma sono ancora aperte le Osterie di fuori Porta?
«E me lo domanda a me? Cosa ne so. Una volta, a quei tempi, quelli della canzone, la mia giornata iniziava a mezzanotte. Adesso a quell’ora sono già a dormire».
E per il futuro cosa pensa di fare?
«Ah,stavolta la risposta è semplice: sopravvivere».
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